LE ARTI MARZIALI
- AZ Antonio Zafarana
- 19 dic 2019
- Tempo di lettura: 3 min

Letteralmente “arti della guerra”,
esprimono tutte quelle discipline che utilizzano un confronto fisico – con e senza armi -, finalizzato a vincere o sconfiggere uno o più avversari.
La creazione e lo sviluppo di sistemi di combattimento che consentono di garantire la propria incolumità, per perpetuare il futuro della specie (istinto di sopravvivenza), è scritta nel DNA di ogni essere vivente del pianeta, sia esso animale sia vegetale.
La natura fornisce in merito molteplici e variegati esempi, come la dotazione “militare” personale di ogni essere vivente, sia offensiva (corna, artigli, denti, becco, veleno), che difensiva (velocità, mole, mimetismo, intelligenza), talvolta anche bizzarri (pesce palla).

Le arti marziali, quindi, nascono con l’uomo e con il suo istinto di sopravvivenza.
Lo sviluppo di un sistema di combattimento, prevede un repertorio codificato di tecniche, atte a sopraffare degli avversari, ciò deriva esclusivamente dalle influenze della cultura e dei costumi del luogo, dove esso viene prodotto.
Il reperto più antico che documenta tecniche di arti marziali è rappresentato da due statuette di origine babilonese, datate fra il 3000 e il 2000 a.C., che ritraggono due presunti “atleti” a contatto, in una posizione che ricorda il moderno Sumo.
Possiamo generalmente suddividere le arti marziali in due grandi blocchi: le arti marziali occidentali (lotta, pancrazio ecc.), e quelle orientali, divisibili a loro volta dalle caratteristiche peculiari del proprio paese di appartenenza.
Un grande influsso, che produsse una svolta epocale nella storia delle arti marziali, fu l’avvento del Buddismo, che dall’India – per mezzo del monaco Bodhidharma – fu esportato prima in Cina e poi in tutto l’estremo oriente.

Il fattore determinante che caratterizzava le arti indiane e cinesi era la commistione di tecniche di combattimento, conoscenze mediche e spiritualità: concentrazione, meditazione, rilassamento, respirazione, conoscenze anatomiche, equilibrio e filosofia sono stati sempre presenti, sia nei culti sia nelle arti marziali orientali, e non a caso India e Cina sono state culle di grandi religioni.
Il fine principale dei praticanti di arti marziali era dettato dalla posizione sociale del soggetto: dal guerriero al contadino, dal monaco al mercante, la conoscenza di tecniche atte a salvaguardare la propria vita era una scelta obbligata, poiché in quelle culture arcaiche, ben lontane da sistemi di regolamentazione giuridica, lo scontro fisico era l’unica opzione plausibile per far valere le proprie ragioni in caso di dispute.
Da queste motivazioni basilari, si svilupparono dei metodi di combattimento che – come vedremo più avanti – miscelati a tecniche di meditazione, influenze culturali e religiose, formarono allo stesso tempo guerrieri incredibilmente abili e uomini saggi.
Afferma Peter Lewis:
<< [...] il combattimento in sé è passato da semplice istinto animale (naturale), a scienza esatta influenzata dalle dottrine religiose orientali, insegnate da migliaia di anni da quei grandi saggi e filosofi che hanno scoperto come – incanalando le proprie energie attraverso le arti marziali – la mente, il corpo e lo spirito vengono uniti in un solo Io, rendendo quindi possibile la perfetta armonia dell’essere con la natura e l’universo >>.
(Lewis, 1985, p.7)

È importante sottolineare come la pratica delle arti marziali, superata la concezione utilitaristica, che spinge il praticante ad apprendere per vincere il confronto con l’avversario, porta a una visione universalistica, dove il praticante evita il confronto con l’avversario per non arrecargli danno e trasforma la pratica delle arti marziali in uno strumento che gli permette di divenire un uomo migliore, in armonia con se stesso, con la natura e l’universo.
tratto da "Sport e Arti Marziali nell'era della globalizzazione " di Antonio Zafarana
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