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IL BUSHIDO

Alla scoperta del codice etico dei Samurai


Letteralmente “via del guerriero”, è un insieme di norme che disciplinavano la vita del guerriero, dettando regole pratiche e comportamentali che costituivano un vero e proprio codice morale ed etico, rispettato in modo assoluto dai guerrieri Samurai. Il primo documento scritto arrivato sino ai nostri giorni che tratta tale codice è “l’Hagakure” di Tsuramoto Tashiro (1906), ma il testo più importante e rappresentativo è sicuramente “Bushido” di Inazo Nitobe, scritto nel 1900. Afferma Nitobe: << Il Bushido è indubbiamente una morale eroica che regola la retta azione del guerriero e disciplina il suo animo>>.                                                                  (Nitobe I., 1900)

Le norme del Bushido sono antiche e risalgono ai primi Samurai; nel tempo, tuttavia, hanno risentito di influenze dettate dai particolari eventi storici e da influssi religiosi.


Il simbolismo e il feticismo della spada, l’adozione del fiore di ciliegio, l’amore e il rispetto per la natura, il concetto di clan, sono tutti evidenti riflessi ereditati dallo scintoismo. L’obbedienza assoluta ai superiori e la visione in caste della società sono ereditate dagli influssi della disciplina confuciana.


Tuttavia l’influenza maggiore, che ha lasciato una notevole impronta al modo di essere, di pensare, di combattere e di “morire” dei Samurai, è senza dubbio riferita agli insegnamenti del buddismo zen, che pone le arti marziali a un livello etico e morale tale da conferire una vera e propria dignità, nonché il dono dell’immortalità.


Il buddismo “zen”, divulgato dal monaco indiano Bodhidharma nel VI secolo d.C. e introdotto in Giappone nel periodo degli shogun, diede un  apporto fondamentale al cambiamento del modo di essere e di vivere dei Samurai, fornendo una spinta evoluzionistica alla crescita tecnica e spirituale dei praticanti di arti marziali. 


Ma come può una religione, filosofia o semplice modo di pensare – per come si vuole intendere – trasformare dei già eccellenti guerrieri in combattenti invincibili?


Ripercorriamo le caratteristiche salienti della disciplina “zen”, in modo da poter comprendere come e quanto abbia influito sulla trasformazione del modo di vivere e di combattere dei nobili Samurai. Come afferma il Maestro Taisen Deshimaru nel suo “Zen e Arti Marziali”:


      << La fusione del Buddismo e dello Scintoismo ha permesso la creazione del Bushido, la via del Samurai.

Si può riassumere questa via in sette punti essenziali: 

1-Gi: la decisione giusta, nell’equanimità, la disposizione giusta, la verità. Quando dobbiamo morire, dobbiamo morire; 


2-Yu: la bravura con un tocco di eroismo;


3-Jin: l’amore universale, la benevolenza verso l’umanità; 


4-Rei: il giusto comportamento, che è un punto fondamentale; 


5-Makoto: la sincerità totale; 


6-Meyo: l’onore e la gloria; 


7-Chugi: la devozione, la lealtà. 


Sono i sette principi del Bushido. 

La via del Samurai è imperativa e assoluta. La pratica che viene dal corpo attraverso l’incosciente è fondamentale. Da qui la grandissima importanza riferita all’educazione. Il Bushido è diventato una pratica senza per questo essere una filosofia >>.

                                                             (Deshimaru, 1975)

La pratica dello zen è trasmessa dal maestro all’allievo, attraverso un sistema particolare di meditazione chiamato “zazen”, il quale permette contemporaneamente di accrescere la forza fisica e mentale, inoltre la continua introspezione, ricercata attraverso una corretta respirazione diaframmatica, praticata nella particolare postura dello zazen (in ginocchio seduto sui talloni), conduce l’allievo alla “via” (Do) della saggezza. 


Questi insegnamenti furono decisivi per sviluppare la riconosciuta magnanimità dei Samurai. Si legge nell’Hagakure:


<< un soldato dovrebbe seguire internamente la via della carità ed esternamente quella del coraggio; quindi il monaco impari da soldato il coraggio e il soldato impari dal monaco la carità >>.                             

                                                                    (Tashiro, 1906)


Attraverso la costante pratica meditativa dello zazen, il praticante incanala - armonizzando la sua respirazione - la propria energia interna con quella cosmica, raggiungendo una vera e propria “illuminazione” (satori). Questo particolare stato permette al praticante di integrarsi completamente con l’ambiente esterno e, ai fini pratici, sviluppare un’incredibile sensibilità percettiva - e quindi di reazione - ai pericoli.


La pratica dello zen migliorava l’abilità, la prontezza e il coraggio dei Samurai, nonché il loro equilibrio psico-fisico, ecco il motivo del grande successo della pratica zen sulla casta dei Samurai.


Proviamo adesso a comprendere, in modo tangibile, come i guerrieri acquisivano questi “poteri” eccezionali attraverso la pratica zen.


Lo zen, ben esercitato - naturalmente dopo lunghi periodi di pratica -, porta a uno stato di vuoto mentale (mushin) che permette di distogliere l’attenzione su ciò che si deve fare, lasciando andare il corpo e la mente in modo “automatico”.


La comprensione del fenomeno non è semplice, quindi utilizzerò degli esempi per chiarire questo concetto:      << Il Maestro zen Takuan diceva: se non ponete la vostra mente in nessun luogo, essa vi pervaderà il corpo diffondendosi in tutto il vostro essere, cosicché quando avrete bisogno delle mani, essa farà lavorare le mani, quando avrete bisogno dei piedi, essa farà lavorare i piedi e così via; dovrete lasciare andare la vostra mente attraverso tutto il corpo, senza indugiare in nessuna direzione, in questo modo la mente seguirà ciascuna situazione nel suo svilupparsi e non perderà d’occhio le azioni degli avversari >>.                                                         (Alabiso, 1997, p. 62)  Il Samurai Yagyu Munemori nei suoi scritti afferma: << [...] quando uno non si concentra su nulla, tutto diventa più facile. Per questa ragione lo zen ha come fine la libertà della mente da ciò che essa contiene.  All’inizio quando non sappiamo nulla, non ci poniamo domande; poi quando si apprendono alcune nozioni, qualcosa ti blocca e ti rende tutto più difficile. Soltanto quando ciò che è stato studiato viene assimilato completamente, abbandona la mente e la pratica subentra alle nozioni; solo allora si agisce spontaneamente, senza che uno percepisca ciò che sta facendo. Tutto consiste nel rinunciare a preoccuparsi. Tuttavia, se non si fa pratica, si avranno in mente solo regole che impediranno di fare qualunque cosa.>>                                                               (Alabiso, 1997, p. 62) Proviamo a rendere comprensibile l’ultima citazione con un esempio apparentemente banale, ma molto significativo: immaginate un diciottenne della generazione odierna che si appresta a conseguire la patente di guida per condurre la sua nuova automobile (“all’inizio quando non sappiamo nulla, non ci poniamo domande”); i primi giorni di addestramento, si sentirà piuttosto confuso e impacciato, poiché deve fare attenzione a:  il piede sinistro, che deve spingere la frizione;  il piede destro, che deve gestire alternativamente il pedale del freno e dell’acceleratore;  la mano sinistra, che deve tenere correttamente il volante e gestire gli indicatori di direzione;  la mano destra deve tenere il volante e manovrare il cambio, ricordando la posizione delle marce eccetera...    Tutte queste operazioni che deve eseguire contemporaneamente lo faranno sentire in difficoltà (“poi quando si apprendono alcune nozioni, qualcosa ti blocca e ti rende tutto più difficile”). Immaginate il nostro ormai “ex” diciottenne, dopo qualche anno di guida e parecchie migliaia di chilometri percorsi: probabilmente quando guida non pone più attenzione a cosa fa il suo piede sinistro o la sua mano destra, piuttosto si concentra sul vero obiettivo del suo guidare, seguire la strada, mentre il suo corpo e la sua mente guideranno in modo “automatico” (“soltanto quando ciò che è stato studiato viene assimilato completamente, abbandona la mente e la pratica subentra alle nozioni; solo allora si agisce spontaneamente, senza che uno percepisca ciò che sta facendo”). La maggiore probabilità che adesso, il nostro guidatore, ha di provocare un incidente, è nel caso in cui è preoccupato per qualche problema, quindi “distratto” (“tutto consiste nel rinunciare a preoccuparsi”). Avendo chiarito il concetto di vuoto mentale, ricercato dai Samurai attraverso la pratica zen, proviamo a sostituire al nostro diciottenne l’automobile, iniziandolo alla pratica di un’Arte Marziale (come i Samurai): all’inizio è entusiasta del suo cammino e non si pone domande, man mano che acquisisce nozioni e tecniche, tutto gli appare difficile; quando dopo anni di pratica riesce ad assimilare i principi e combattere senza paura e preoccupazioni, in modo spontaneo, allora può finalmente concentrarsi sul vero obiettivo della pratica delle arti marziali, la ricerca del proprio io, l’armonia con l’universo, l’unione con la natura, l’illuminazione dei buddisti, la pace interiore ecc.; tanti concetti diversi per descrivere il medesimo stato, questo è il Bushido. Fine parte prima


Inizio parte seconda Un’altra caratteristica dei Samurai, sancita dal codice etico del Bushido è il loro attaccamento al signore cui prestavano servizio.  Il contratto fra signore e samurai, basato sui principi di onore e lealtà, legava i due contraenti a degli obblighi morali:  il signore s’impegnava a ricompensare il samurai dei suoi servizi con possedimenti terrieri e a generosi omaggi dopo le campagne di guerra, di contro il samurai offriva la sua stessa vita per tutelare l’onore e la sicurezza del suo signore.  Questo legame era talmente forte, che - molto spesso - alla morte di un signore, il samurai si suicidava con il terribile rituale del “seppuku” (hara kiri), per seguirlo anche nella morte. Il rituale del suicidio, tramandato dal bushido, chiarisce l’atteggiamento dei samurai nei confronti della morte (e della vita).  Lo studio e la pratica dello zen porta a mettere sullo stesso piano vita e morte, senza demonizzare quest’ultima, ma anzi, a considerarla come uno dei molteplici aspetti della natura umana, da cui non si può, e soprattutto non si deve provare a fuggire quando viene il momento di affrontarla. << [...] Il guerriero ripeteva spesso: vero coraggio è vivere quando è giusto vivere, morire soltanto quando è giusto morire >>. (Alabiso, 1997, p. 53) Si legge nell’Hagakure: << Bushido significa morte. Ogni mattina, prepara la tua mente su come morire e ogni sera rinfresca la tua mente con il pensiero della morte. In questo modo la mente sarà preparata. Quando la mente è sempre preparata alla morte, la vita sarà molto più semplice >>. (Alabiso, 1997, p. 53)


Un ulteriore fenomeno da considerare per lo sviluppo e la diffusione delle arti marziali in Giappone, è il considerevole aumento, soprattutto nel periodo Tokugawa (1615-1867), dei Samurai “ronin”, gli uomini onda. 


Erano Samurai che per svariati motivi avevano perduto il legame con il loro signore, e non avevano un luogo fisso dove risiedere, quindi si spostavano continuamente, vagando su e giù come le onde del mare (da qui il nome).


Erano samurai ben addestrati come e più degli altri, poiché vagando - plausibilmente anche da soli - dovevano essere in grado di difendersi dalle frequenti aggressioni, nelle pericolose terre delle province. 

Alcuni di essi, per potersi sostentare divenivano criminali, si univano in bande per razziare i villaggi; 

altri mettevano a disposizione i loro servizi al miglior offerente, diventando veri e propri mercenari. 


Tuttavia, molti ronin per sostentarsi, stabilivano la propria dimora in un villaggio, e in cambio del necessario per vivere, lo difendevano da attacchi esterni; 


inoltre – vorrei evidenziare – un nutrito numero di samurai ronin, che per sostentarsi, insegnava le arti marziali a “tutti”, divenendo i primi prototipi di Maestri di arti marziali, per come noi oggi li intendiamo. 

Questa particolare figura di samurai fu fondamentale per la diffusione a larga scala della pratica delle arti marziali giapponesi, e quindi, della conoscenza delle regole del codice etico del bushido. 

Molti di loro diventeranno dei veri e propri personaggi mitologici, degli eroi le cui gesta saranno immortalate dai romanzi della letteratura giapponese.


Ma perché dopo quasi centocinquant’anni dalla fine dello shogunato, il tema dei samurai e del bushido è ancora oggi così attuale? La presunta fine dei samurai come casta sociale coincide con il periodo Meji, con le riforme sociali e l’apertura del Giappone - dopo secoli d’isolamento - al commercio con i paesi occidentali.  In pochi anni fu abolita la loro casta, fu vietato l’uso della spada e fu loro tolto il sostentamento economico da parte dell’impero.  La risposta al cambiamento e alla modernizzazione del paese da parte degli antichi guerrieri fu variegata e contrastante: alcuni combatterono fino a morire per la restaurazione del vecchio regime, altri furono in grado di adattarsi al cambiamento e addirittura “adeguare” le regole del codice etico del guerriero - ormai radicate da secoli nell’animo del popolo giapponese - per divenire abili imprenditori che, con la loro abilità, portarono il Giappone nello scenario internazionale del XX secolo, competendo con le più grandi potenze industriali del mondo.  Il vecchio rapporto shogun-signore-samurai è convertito nel moderno nazione-imprenditore-lavoratore, la mentalità del samurai è trasferita in tutti i rapporti interpersonali, favorendo quel processo di produttività che ha permesso la nascita di aziende che in futuro diventeranno leaders del mercato mondiale.  Ancora oggi, il cittadino giapponese s’identifica - consciamente o inconsciamente - con il personaggio del samurai; sentimenti come onore, lealtà e obbedienza non sono cambiati nel corso dei secoli, è cambiato soltanto l’obiettivo che il cittadino moderno identifica con un assoluto senso del dovere verso lo Stato, l’azienda e la famiglia, piuttosto che verso il signore o lo Shogun Quello che ci tocca più da vicino è l’adattamento delle arti marziali praticate dai samurai a forme modernizzate adattabili sia alla società moderna orientale, che alla società occidentale - che ha una mentalità piuttosto diversa dai canoni orientali -.  Arti marziali moderne quali Judo, Karate Shotokan, Aikido, Kendo ecc., attingono da un enorme patrimonio tecnico e culturale, rendendo immortale i principi, il modo di essere e soprattutto il mito degli antichi Samurai e del Bushido.

tratto da "Sport e Arti Marziali nell'era della globalizzazione " di Antonio Zafarana

 
 
 

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