I Samurai
- AZ Antonio Zafarana
- 19 dic 2019
- Tempo di lettura: 5 min
Genesi e affermazione nel contesto feudale giapponese.
Per ben comprendere il fenomeno delle arti marziali giapponesi a partire dalla sua genesi, bisogna analizzare il contesto storico, culturale e sociale del feudalesimo giapponese. Come in Occidente, anche in Giappone si svilupparono gli elementi costitutivi del sistema feudale, cioè la concessione di terre in cambio dell’assoluta fedeltà del signore (amministratore), e di conseguenza il ferreo rapporto tra signore e subordinato (vassallo). I rapporti gerarchici tra i vari gradi della piramide sociale erano di obbedienza assoluta verso i superiori e risentivano delle influenze importate dalla Cina, attraverso le tradizioni Confuciane.

Le differenze sostanziali tra il feudalesimo giapponese e quello europeo furono:
1- in Europa era l’imperatore a decretare e concedere i benefici feudali ai signori da lui investiti, mentre in Giappone l’imperatore gestiva solo raramente il potere, il quale, invece, era ad appannaggio dei nobili e dello Shogun, il capo militare rappresentante delle famiglie (clan) più potenti, che, di fatto, gestiva e governava il Paese;
2- in Europa, il feudatario acquisiva la proprietà delle terre, mentre in Giappone il feudatario era un mero amministratore, non potendo acquisire la proprietà delle stesse;
3- in Europa, i rapporti sociali, pubblici e privati, venivano regolati in modo sempre più frequente dal diritto, mentre in Giappone l’etica, radicata nell’animo dei giapponesi da tradizioni religiose e accentuate dall’avvento del Confucianesimo, attraverso valori quali
fedeltà, lealtà e subordinazione, permise al Giappone di mantenere la società feudale sino alla metà del 1800.

Nel contesto feudale giapponese si andava affermando una classe sociale ben definita, che sarà protagonista assoluta nel paese del Sol Levante fino alla fine del XIX secolo, e fu proprio questa classe che fornì un notevole e decisivo impulso alla diffusione e all’evoluzione dei metodi di combattimento conosciuti generalmente come “Bu-Jutsu”.
La classe dei “Samurai” si integrò perfettamente nel contesto sociale del feudalesimo giapponese, mantenendo il proprio ruolo, e impiantando in modo piuttosto profondo “nel DNA del popolo giapponese”, anche per le generazioni future, quella che fu denominata “l’etica del guerriero” (il Bushido), terreno fertile per il germogliare di molteplici arti marziali, molte delle quali sopravvissute sino ai nostri giorni.
Le origini dei Samurai non hanno fonti certe, ma ciò che è documentato evidenzia la figura di un capo militare (saburai) al servizio del proprio clan guerriero. Lo stesso termine era utilizzato per definire una figura importante a dipendenza diretta (o indiretta) dello Shogun.
Non si deve confondere il Samurai dalla figura del “Bushi” (guerriero), il quale identificava il semplice guerriero di rango militare e sociale più basso.
Afferma Alida Alabiso:
<< I bushi erano invece i guerrieri comuni. Quindi sin dagli inizi, il termine samurai designa qualcosa in più e di diverso dal semplice combattente e sicuramente da XIV secolo furono chiamati samurai soltanto “i signori della guerra”, o i nobili al servizio dell’imperatore (goshozamurai)>>.
(Alabiso, 1997, p. 22)
E’ importante rilevare la duplice figura del Samurai, il quale era insieme “nobile aristocratico e guerriero”.

Ma come è perché la casta dei Samurai arrivò al potere, e addirittura prese le redini del governo del paese del Sol Levante?
Il Giappone dell’epoca era governato da un Impero ed era diviso in province che facevano riferimento a potenti famiglie (clan), le quali gestivano militarmente i loro territori, per mezzo di truppe ben addestrate. Il primo apparato militare centralizzato, con relativo Ministero e con l’istituzione delle truppe imperiali, risale alla riforma “Taika” (645 d.C.).
Tale riforma, mentre incrementò i poteri amministrativi ai clan, allo stesso tempo, li privò delle loro prerogative militari; ciò innescò una vera e propria “burocratizzazione” degli antichi guerrieri e le truppe furono arruolate tra le classi dei contadini. Negli anni a venire, la carenza di formazione ed esperienza militare, favorì il crollo dell’efficienza dell’apparato militare giapponese.
Nel 792 d.C. il governo cambiò rotta e chiese ai clan provinciali di inviare guerrieri preparati, a sostituire gli inesperti contadini. Inoltre, con la riforma “Shoen”, fu istituita una sorta di privatizzazione delle terre, quindi, il governo, perdendo man mano cospicue somme provenienti dalle entrate tributarie, non poté più far fronte alla gestione amministrativa e al mantenimento del proprio esercito imperiale.
Questo evento fu cruciale per la storia del Giappone poiché il governo consegnò la gestione militare, completamente ai clan, di fatto privatizzando l’esercito.

Durante il periodo Heian (794-1185), il Giappone visse un periodo di splendore. L’aristocrazia elegante, concentrando i propri interessi nelle corti della capitale Kyoto, si dedicò alle arti, alla musica, alla poesia. La scrittrice Murasaki Shikibu, nella sua opera Genji Monogatari (la Storia del principe Genji) - di fatto il primo romanzo della letteratura mondiale - descrive mirabilmente quel mondo fatto di feste e cerimonie, nell’agiatezza delle corti di Kyoto. In questo periodo, mentre l’aristocrazia si rifugiava nelle feste e nel lusso delle corti della capitale, nelle località di frontiera, a partire dall’Est, cominciarono le ribellioni.
Il governo all’inizio non fu capace di fronteggiare questa situazione di dilagante lotta interna che sfociò in una crescente anarchia, quindi concesse titoli e qualifiche ufficiali alle truppe dei governi delle province dell’Est, che si adoperarono per fronteggiare i disordini.
Questo contesto sociale, dove anche all’interno degli shoen si formavano compagini armate e ben addestrate, favorì una crescente richiesta di preparazione e addestramento militare, che diffuse in modo capillare la pratica delle arti marziali nelle famiglie dei nobili delle province, alimentando lo sviluppo di quella che diventerà la futura classe dei guerrieri (bushi).
Ancora Alabiso:
<< mentre la nobiltà di corte rimaneva ligia soprattutto al cerimoniale di quello che era poco più che un fantasma di governo, dedicando le proprie energie alle arti, alla poesia e ai piaceri più che all’amministrazione dello Stato, la nobiltà delle province stava facendo un’esperienza reale di governo, amministrando territori e contadini in modo quasi totalmente autonomo dalle direttive della capitale. Così questi signori provinciali, uomini audaci e spartani, divennero a poco a poco grandi capi militari che avevano al loro comando notevoli contingenti di fedeli seguaci, disciplinati e ben armati >>.
(Alabiso, 1997, p. 25)

Analizzato il contesto sociale, rileviamo la comparsa di un nuovo attore protagonista della storia giapponese, quale il bushi, il nobile combattente a cavallo, personaggio storico di primissimo piano che ha caratterizzato, con la sua particolare visione del mondo, un ampio periodo di storia giapponese, quello feudale, ma di cui rimane traccia indelebile anche nello spirito del giapponese moderno.
Comunque, inizialmente, i bushi non si presentarono come un immediato pericolo per il sistema, poiché erano soltanto dei professionisti della guerra, elemento di continuità con quella tendenza alla privatizzazione iniziata dagli shoen. Ma quando gli interessi dei bushi, organizzatisi in bande rafforzate da legami familiari e di obbedienza militare, cominciarono a entrare in contrasto con quelli della corte, allora iniziò il crollo dell’ordine esistente.
I clan più importanti erano i Minamoto e i Taika; alla fine dell’XI secolo erano divenuti i reali detentori dell’autorità militare e i custodi della pace, così si preparavano ad assumere il potere e governare il paese.
Il primo Shogun a governare il Paese del Sol Levante fu Minamoto Yoritomo, nel 1192, il quale legittimò il potere nelle mani della casta dei Samurai. La carica di Shogundivenne ereditaria e - in modo piuttosto bizzarro - il governo in carica assunse il nome “bakufu” (governo della tenda), proprio in omaggio alle tende, dove vivevano i militari durante le campagne.
Possiamo concludere affermando che il fattore più importante per l’ascesa dei Samurai al potere fu l’introduzione degli shoen, che nel giro di un secolo, aveva privatizzato tutte le terre imperiali del Giappone.
L’amministrazione degli shoen aveva consentito il rafforzarsi della posizione dei signori che sempre maggiormente accentuarono il divario esistente tra la vita di corte imperiale, con i suoi lussi e sfarzi, e la vita di provincia. Attraverso un sistema di alleanze con i clan delle famiglie guerriere (bushidan), detenevano ogni tipo di autorità all’interno delle loro terre. Alla fine dell’XI secolo, il divario tra le due figure predominanti, la nobiltà aristocratica delle corti di Kyoto e, una classe militare periferica ben organizzata, portò i Samurai al potere, soppiantando quel modello raffinato di società, con un altro più semplice ed efficiente.
I Samurai amministrarono il Giappone fino alla fine del XIX secolo.
tratto da "Sport e Arti Marziali nell'era della globalizzazione " di Antonio Zafarana
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